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La complessità del patto di famiglia si disvela con innegabile nitore sol che si consideri come l'istituto nasca e si dipani in un'area di delicata intersezione, stretta tra i divieti del diritto successorio e gli spazi dell'autonomia privata; o forse, più correttamente, tra le tradizionali ragioni positivazzate nella tutela della legittima e l'interesse di matrice intrinsecamente pubblicistica alla prosecuzione dell'impresa. A ben vedere, infatti, il terreno guadagnato alla facoltà di scelta del disponente è in realtà uno spazio conquistato alla negozialità dall'interesse dell'impresa, cui persino le stringenti regole e le consolidate logiche del nostro sistema successorio - per altri versi resilienti a modifiche sostanziali - hanno finito con il piegarsi. L'eccezionalità che, per tal verso, lo strumento si ricava è di non semplice declinazione; e ciò anche perché, a dispetto della menzionata complessità, il novellato testo codicistico affida all'interprete un dato a dir poco ambiguo e perfettibile. La mancata riforma del pur giovane istituto e un impiego nella pratica tutt'altro che frequente condurrebbero, unitamente alle riflessioni testé rassegnate, ad un giudizio irrimediabilmente negativo in ordine all'operazione normativa sottesa; tanto, salvo a non voler leggere nel patto di famiglia l'emersione d'una categoria, d'un principio di anticipazione di successione già esplorato nel diritto tedesco e maturato nel suo dibattitto dottrinale.